Riccardo Rocchi

Anche l’Italia può produrre bioplastiche

Una crisi aziendale ha mostrato quello che probabilmente può essere considerato un vanto italiano. A Patrica, piccolo paese in provincia di Frosinone, un vecchio stabilimento chimico sta per chiudere, con più di 80 dipendenti pronti a trovarsi per strada. E’ il 2009 quando l’azienda novarese Novamont acquisisce lo stabilimento e salva i posti di lavoro. Darà inizio ad una riconversione, durata circa 8 anni e costata più di 70 milioni di euro, per far sì che l’impianto passi dalla produzione di PET (Polietilene tereftalato), per bottiglie di plastica, a MATER-BI, un biopoliestere.
Non si tratta del primo stabilimento dell’azienda in cui viene prodotto questo materiale bioplastico, dal 1990 infatti lo stabilimento Novamont di Terni ha cominciato la produzione. Da ben 30 anni dunque un’azienda tutta italiana, nata come controllata della Montedison, sviluppa e produce quelle che oggi chiamiamo bioplastiche.
A partire da amido di mais e batteri fermentanti venne prodotto questo materiale termoplastico biodegradabile, impiegato per produrre le prime buste di bioplastica in sostituzione dei tradizionali sacchetti in polietilene. Da un iniziale unico prodotto MATER-BI si differenziano diverse varianti, in base a fattori chimico-fisici come la componente di amilopectina e amilosio nell'amido di partenza, o l’aggiunta di additivi, creando quello che oggi è un marchio raccoglitore di differenti bioplastiche biodegradabili e compostabili.
Tutte le varianti vengono prodotte sotto forma di granuli che possono essere lavorati con le più comuni tecnologie di trasformazione usate per le plastiche tradizionali, come filmatura, estrusione, termoformatura, stampaggio ad iniezione, etc. I settori di applicazione sono ormai innumerevoli e l’impronta ambientale dei prodotti bioplastici di questa tipologia è bassissima.

Proprio nello stabilimento di Patrica nel 2018 è stato inaugurato un ulteriore passo avanti, una sezione dell’impianto in grado di recuperare gli scarti di lavorazione per la produzione di ORIGO-BI, specifico prodotto della più grande famiglia di MATER-BI, ossia il THF (Tetraidrofurano), composto ampiamente impiegato nella chimica e dall’industria farmaceutica, dunque preziosissimo.
La possibilità di recuperare scarti di produzione, e ridurre maggiormente l’impatto ambientale, ha attirato notevolmente l’attenzione su questa azienda, visto il crescente dibattito sulle tematiche ecologiche.
Il caso di Patrica non è stato di certo isolato, sicuramente è servito da acceleratore mediatico ma rientra di fatto in un modello di business che l’azienda stessa definisce “bioeconomico”, uso efficiente delle risorse rinnovabili e rigenerazione territoriale.
Nel 2017 un ulteriore stabilimento è stato riconvertito, a Bottrighe, provincia di Rovigo, la Novamont ha investito circa 100 milioni per replicare il caso di Patrica.
Ripensare il tradizionale modello di sviluppo è possibile anche in Italia e soprattutto anche per il settore dell’industria chimica.

Comparso su Agenzia Eventi