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Anche l’Italia può produrre bioplastiche

Anche l'Italia può produrre bioplastiche. Anche aziende come Novamont lo fanno da 30 anni.

Una crisi aziendale ha mostrato quello che probabilmente può essere considerato un vanto italiano. A Patrica, piccolo paese in provincia di Frosinone, un vecchio stabilimento chimico sta per chiudere, con più di 80 dipendenti pronti a trovarsi per strada. E’ il 2009 quando l’azienda novarese Novamont acquisisce lo stabilimento e salva i posti di lavoro. Sarà l’inizio di una riconversione, durata circa 8 anni e costata più di 70 milioni di euro, per portare l’impianto dalla produzione di PET (Polietilene tereftalato), per bottiglie di plastica, a MATER-BI, un biopoliestere.
Non si tratta del primo stabilimento dell’azienda in cui viene prodotto questo materiale bioplastico. Infatti, dal 1990 lo stabilimento Novamont di Terni ha cominciato la produzione attestandosi come un apripista a livello globale.
Da ben 30 anni dunque un’azienda tutta italiana, nata come controllata della Montedison, sviluppa e produce quelle che oggi chiamiamo bioplastiche.

A partire da amido di mais e batteri fermentanti venne prodotto questo materiale termoplastico biodegradabile. L’impiego iniziale fu per produrre le prime buste di bioplastica in sostituzione dei tradizionali sacchetti in polietilene.
Da un iniziale unico prodotto MATER-BI si sono differenziate diverse varianti in base a fattori chimico-fisici, come la componente di amilopectina e amilosio nell’amido di partenza, o l’aggiunta di additivi.
Oggi MATER-BI è un marchio raccoglitore di differenti bioplastiche biodegradabili e compostabili.
Tutte le varianti vengono prodotte sotto forma di granuli che possono essere lavorati con le più comuni tecniche di trasformazione usate per le plastiche tradizionali: filmatura, estrusione, termoformatura, stampaggio ad iniezione, etc. I settori di applicazione sono ormai innumerevoli e l’impronta ambientale dei prodotti bioplastici di questa tipologia è bassissima.

Nel 2018 nello stabilimento di Patrica è stato inaugurato un ulteriore passo avanti. Una sezione dell’impianto è stata implementata per recuperare gli scarti di lavorazione. Da essi è ora possibile produrre ORIGO-BI, un Tetraidrofurano (THF), composto ampiamente impiegato nella chimica e dall’industria farmaceutica, dunque preziosissimo.
La possibilità di recuperare scarti di produzione, riducendo l’impatto ambientale, ha attirato l’attenzione su questa azienda, visto anche il crescente dibattito sulle tematiche ecologiche.
Il caso di Patrica non è stato di certo isolato ed è servito come acceleratore mediatico. Rientra di fatto in un modello di business che l’azienda stessa definisce “bioeconomico”, uso efficiente delle risorse rinnovabili e rigenerazione territoriale.
Nel 2017 un ulteriore stabilimento è stato riconvertito, a Bottrighe, provincia di Rovigo. In questo caso la Novamont ha investito circa 100 milioni per replicare il caso di Patrica.

Ripensare il tradizionale modello di sviluppo è possibile anche in Italia e soprattutto anche per il settore dell’industria chimica.

SPUNTI UTILI

  • La sostenibilità del nostro sistema alimentare passe per l’adozione su larga scala di una tecnologia che è sempre stata vista come un tabù: l’ingegneria genetica;
  • Oltre a cambiare i modelli alimentari per renderli più sostenibili dovremo, nel prossimo futuro, rivoluzionare molti altri campi come l’edilizia abitativa e l’urbanistica;
  • Avete mai pensato ad un’auto che producesse cibo? E a birra ad impatto zero?
  • L’Italia può essere un esempio virtuoso nella produzione di energie rinnovabili. Sapevate che siamo tra i primi in Europa insieme all’Islanda per la geotermia?!
  • Che ci piaccia o no le nostre città diventeranno sempre più smart, qualcuna prima di altre!

Photo by mali maeder

Comparso su Agenzia Eventi

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