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Il tragitto della conoscenza

Una qualsiasi conoscenza clinica, prima di essere considerata tale, deve affrontare un percorso composto da diverse tappe, alcune obbligate, altre facoltative in base all’ambito di riferimento e alle evidenze scientifiche.

Essenzialmente potremmo dividere il tragitto in due strade parallele, altrettanto importanti e di certo ineludibili. Parliamo di evidenze statistiche ed evidenze sperimentali.
Entrambe si reggono sulle indicazioni dell’epidemiologia descrittiva, cioè l’osservazione epidemiologica di una determinata popolazione. Esempio pratico!
Osserviamo come l’Alzheimer sia più presente nelle donne rispetto agli uomini. Cominciamo dunque a porre delle ipotesi, basate sulla differenza tra i generi. Una risposta potrebbe essere il cambio ormonale decisamente più marcato nelle donne. Il calo degli estrogeni è causa di diversi cambiamenti fisiologici, possibile che tra essi vi sia un cambiamento che predispone all’insorgenza della patologia?
Una volta formulata una ipotesi, partendo dai dati epidemiologici della popolazione osservata, il percorso si biforca. Necessitiamo di evidenze statistiche e biologiche.
Gli studi che si mettono in atto sono dunque osservazionali da una parte, per approfondire le evidenze epidemiologiche stringendo il raggio rispetto alle precedenti, e sperimentali dall’altra, cercando una spiegazione biochimica e fisiologica che possa supportare quanto ipotizzato, cioè effettivamente cosa cambia nell’organismo tanto da portare all’Alzheimer.

Restringendo l’osservazione, la prima cosa da fare è selezionare un campione della popolazione e mettere a confronto i malati con i sani, cercare dunque una differenza che possa giustificare la presenza/assenza della patologia. Tale tipologia di studio si chiama Caso-Controllo. Nel nostro esempio dovremmo confrontare donne sane e donne affette da Alzheimer e, con un’azione retrospettiva, indagare a ritroso il loro profilo ormonale: a che età hanno avuto il menarca e la menopausa, hanno avuto particolari patologie, hanno fatto uso di terapia ormonale sostitutiva. Bene! Osserviamo che donne che avevano fatto uso di terapia ormonale sono maggiormente presenti nel gruppo “controllo”, cioè non affette dalla patologia. Sembrerebbe dunque, come avevamo ipotizzato, che il calo improvviso di estrogeni sia un fattore di rischio per la patologia ma non è sufficiente. Questi studi osservazionali sono deboli, l’analisi retrospettiva può peccare di precisione, banalmente le donne dell’indagine ricordano male l’inizio della menopausa. Possiamo allora condurre uno studio di Coorte, più solido quanto impegnativo, seguendo nel tempo un campione casuale (osservazione prospettica) che non ha ancora mostrato la patologia. Nello specifico donne che sono appena entrate in menopausa, una parte magari sottoposta a terapia ormonale. Ovviamente questo studio ha l’importante limite che, per vedere dei risultati, bisogna seguire il campione anche per molto tempo, nel caso dell’Alzheimer circa 30 anni (la carriera di un ricercatore). Uno studio simile è stato comunque fatto e i risultati mostravano come le donne che avevano ricevuto terapia ormonale sostitutiva erano parzialmente protette, con un effetto gradiente, prima ricevevano la terapia e meno si ammalavano.
Agli studi osservazionali si deve abbinare anche la plausibilità biologica, con la ricerca di base che deve spiegare i meccanismi biochimici in atto. L’estradiolo (estrogeno) mostrava la capacità di scindere il peptide beta-amiloide, il maggior componente delle placche amiloidi (accumuli neuro-tossici) che nella malattia di Alzheimer sono responsabili della compromissione delle funzioni mnemoniche e conoscitive. Sembra dunque fatta, manca però la prova del nove. RCT, cioè Studio clinico randomizzato, è lo standard di eccellenza della scienza e consente di eliminare quasi con certezza assoluta le ingerenze statistiche dovute al caso e le distorsioni legate all’errore umano. Per verificare quanto evidenziato dagli studi precedenti si assegna casualmente ad un campione un trattamento e un placebo, in modo mascherato (doppio-ceco), in modo tale che né volontari né ricercatori sappiano a chi viene somministrato cosa. In questo caso il trattamento era la terapia ormonale ed i risultati finali mostrano come gli studi precedenti fossero tutti errati. Le donne trattate avevano sviluppato più delle altre Alzheimer, ribaltando l’ipotesi che la terapia ormonale potesse essere protettiva, risulta invece un fattore di rischio.

Questo è un caso molto emblematico che mostra come la scienza abbia strumenti complessi e percorsi articolati, che portano ad acquisire solide conoscenze.

Comparso su Agenzia Eventi

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