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La scienza contro le discriminazioni razziali

Cosa pensa la scienza della parola “razza”? La risposta non può essere univoca ma almeno per l’uomo il termine è stato decisamente accantonato. I genetisti concordano ormai nel considerare l’uomo come una specie senza elementi identificativi di razze. Ciò che all’apparenza potrebbe apparire come un elemento differenziante – il colore della pelle, i lineamenti, la struttura fisica – non trova riscontro nei geni. Dall’analisi del genoma di un individuo, senza conoscerne a priori le caratteristiche fisiche, risulterà impossibile identificare differenze razziali.
Tramite analisi approfondite su alcuni geni somatici potremmo comprendere ad esempio il colore degli occhi, influenzato principalmente dai geni OCA2 e HERC2 contenuti nel cromosoma 15. Il colore dei capelli potrebbe essere compreso dall’espressione dei geni dell’eumelanine, responsabili della colorazione. Sempre conoscendo la tipologia e la quantità di melanina e analizzando geni come MC1R sarebbe possibile avere qualche indizio sul colore della pelle, senza alcuna certezza.

Vi sono certamente altri elementi genetici che potrebbero suggerire informazioni somatiche, attenzione però, si tratta degli stessi geni presenti in ogni individuo. A differenza di altre specie animali, come cani e uccelli, non abbiamo geni univoci per ogni specie. Non c’è un gene presente solo nelle popolazioni del continente africano o dei paesi asiatici, ad esempio.

A livello statistico è evidente come la comunità scientifica abbia abbandonato il termine “razza”. Nell’arco temporale 2009-2018 solamente il 4% degli articoli sull’argomento utilizzava il termine, contro una frequenza del 22% durante gli anni Cinquanta. Nello stesso periodo è cresciuto l’impiego di termini come “etnia” o “discendenza”.
Gli studi di genetica e biologia evoluzionistica si sono soffermati ad indagare, visto l’assenza di indicazioni evidenti, non quale gene differenziasse la specie umana ma quali fossero i geni comuni. Studiando ad esempio i geni del cromosoma Y, responsabile del sesso maschile, o il DNA mitocondriale, derivante esclusivamente dalla madre, si sono potuti ricostruire alberi genealogici e lunghissime linee di discendenza, come il caso dell’Eva Mitocondriale. Seguendo infatti il DNA mitocondriale, che si trasmette invariato unicamente dalla madre, a differenza del resto del corredo che subisce una variazione prendendo metà da ogni genitore, si è potuta identificare quella che potrebbe essere l’antenata comune del genere umano, vissuta fra i 99 000 e i 200.000 anni fa in Africa.
Il monito che la scienza ci restituisce è quindi che siamo semplicemente tutti di “razza umana”!

Comparso su Agenzia Eventi

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